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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono vivi

  Mi chiamo Lorenzo, e sono libero dalle mafie

 

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono vivi

Quelle che riportiamo sono le parole di Lorenzo Casadio sulla questione delle mafie in Italia. Nel documento è riportata un’analisi attenta dei caratteri distintivi del fenomeno mafioso, come il rapporto di reciproco interesse fra mafie e pezzi delle Istituzioni, delle amministrazioni locali e dell’alta finanza.
 
Ma chi è Lorenzo Casadio?
 
Forse un eminente studioso? Un esperto in materia? Un affermato giornalista? Un politico senza peli sulla lingua? no, è un ragazzino di terza media che scrive queste cose nella sua prova scritta di italiano per l’esame di Stato.
 
In uno dei passi del tema si legge: “purtroppo il fenomeno mafioso viene troppo spesso accettato perché si pone come valido strumento per l’accumulo della ricchezza e l’ascesa sociale. Si parla a tal proposito di “borghesia mafiosa”. Nondimeno, offrendo manovalanza e servizi dove albergano disagio, disoccupazione e povertà, si sostituisce allo Stato…e supplisce alle sue carenze”.
 
Continuando nella lettura l’analisi diviene ancora più attenta
: “Cosa Nostra non riguardava e non riguarda solo… il traffico di droga, di armi, il regolamento di conti o il riciclaggio del denaro sporco, ora gestisce e pianifica affari socio-economici anche nel Nord della Penisola per i legami che ha saputo stringere con la parte corrotta della politica e della finanza. La mafia è contemporaneamente sia fuori che dentro lo Stato…da una parte le sue regole sono in contrasto con quelle del nostro ordinamento giuridico, dall’altra essa cerca legami sempre più stretti con la politica, scendendo spesso a patti con le amministrazioni locali per ottenere un accesso privilegiato alle risorse pubbliche”.
 

Poco da dire, un brivido lungo la schiena, una rivoluzione che cammina con le gambe, il cervello e il cuore di questi ragazzi. Sì, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono vivi.
 
PS.
voto finale? 10 e lode…10 e lode contro le mafie! Segue il testo integrale del tema.
 
 
“MI CHIAMO LORENZO, E SONO LIBERO DALLE MAFIE”
 
23 maggio 2012, ore 21.00
 
Sullo sfondo di uno studio televisivo incombe la gigantografia in bianco e nero dei valenti magistrati siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi dalla mafia nel 1992 negli attentati di Capaci (23 maggio) e Via D’Amelio (19 luglio).
 
I loro sguardi profondi e sorridenti trasmettono la serenità della ragione, la forza del coraggio.
Dopo vent’anni da quell’anno di sangue e morte, si continua a dibattere sulla verità di quelle stragi e sul “volto” della mafia. Nonostante a quel tempo non fossi nato, testimonianze di loro colleghi, racconti degli adulti, incontri con gli operatori delle associazioni Pereira e Libera, laboratori svolti in classe e alcune toccanti letture come “Per questo mi chiamo Giovanni”, mi hanno sensibilmente avvicinato a questi due eroi dei nostri giorni e indotto ad approfondire il tema sulla mafia. Su di essa non è mai sufficiente apprendere e conoscere, data la complessità di questo fenomeno criminoso e considerate le sue implicazioni sul piano sociale, economico e politico-istituzionale.
 
Etimologicamente “mafia” è un termine di origine incerta: potrebbe significare “bellezza”, “perfezione”, per indicare anche ciò che è funzionale secondo la mentalità della gente meridionale. La tesi più accreditata è che derivi dall’arabo “Maha” (cava di pietra), che indicava il luogo dove si radunavano gli oppositori politici che sostenevano Garibaldi contro i Borboni. Gli storici fanno risalire la sua nascita agli inizi del XIX secolo, con la caduta del sistema feudale instaurato dai Normanni secoli addietro. Infatti, con l’abolizione di tale sistema, i baroni, che non potevano più tutelare i loro privilegi né amministrare la giustizia sulle proprie terre, iniziarono ad arruolare bande clandestine violente per sorvegliare le loro proprietà e difenderle dal banditismo e dalle ambizioni dei contadini (i “mangia terra”). Questi uomini in armi (i futuri mafiosi) diventarono via via dei veri e propri amministratori e grandi affittuari dei latifondi, fino a divenirne i proprietari usando l’intimidazione e la violenza. Modalità di controllo del territorio, queste, che contraddistinguono ancora oggi le diverse mafie.
 
Camorra e ‘Ndrangheta si affermarono, rispettivamente in Campania e in Calabria, per la loro capacità di “rendere giustizia” in una situazione di forte tensione sociale nel Mezzogiorno che si era fermata nei decenni antecedenti l’Unità d’Italia. Le ‘Ndrine, da tutrici dei latifondi, ricoprirono il ruolo di “giudici di pace” per regolare rapporti di lavoro, litigi di proprietà o di vicinato, per difendere l’onore perduto delle donne con i matrimoni riparatori. Si radica così nelle classi popolari l’idea (sbagliata) che le mafie siano nate per soccorrere i deboli contro ogni forma di ingiustizia. Bisogna sfatare il mito (indubbiamente falso) che le mafie possano anche compiere azioni per generosità: esse si muovono solo per i loro fini abbietti, anche quando sembrano solidali. Il consenso sociale diventa quindi uno dei principali pilastri su cui, congiuntamente all’omertà, queste organizzazioni criminali sono riuscite e riescono a prosperare e proliferare.
 
Mi conforta sapere che oggi, grazie all’impegno di docenti, letterati, giornalisti, associazioni di volontariato, magistrati ed altre Istituzioni, si stia diffondendo la cultura della legalità e la necessità del coraggio e della ribellione verso ogni forma di corruzione, sopruso e tolleranza.
Purtroppo il fenomeno mafioso viene troppo spesso accettato perché si pone come valido strumento per l’accumulo della ricchezza e l’ascesa sociale. Si parla a tal proposito di “borghesia mafiosa”. Nondimeno, offrendo manovalanza e servizi dove albergano disagio, disoccupazione e povertà, si sostituisce allo Stato nel monitoraggio del territorio e supplisce alle sue carenze. Lo aveva ben capito Giovanni Falcone quando, attraverso la collaborazione dei “pentiti” (i collaboratori di giustizia), intuì che accanto allo Stato legale operava e si ramificava un governo occulto: Cosa Nostra. Essa non riguardava, e non riguarda solo, come a torto si pensava, il traffico di droga, di armi, il regolamento di conti o il riciclaggio del denaro sporco, ora gestisce e pianifica affari socio-economici anche nel Nord della Penisola per i legami che sa e ha saputo stringere con la parte corrotta della politica e della finanza: “la mafia è contemporaneamente sia fuori che dentro lo Stato”, come hanno ben voluto sottolineare a noi studenti gli esponenti dell’Associazione Pereira con il progetto Liberi dalle mafie. Da una parte le sue regole sono in contrasto con quelle del nostro ordinamento giuridico, dall’altra essa cerca legami sempre più stretti con la politica, scendendo spesso a patti con le amministrazioni locali per ottenere un accesso privilegiato alle risorse pubbliche. Il suo scopo principale è accaparrarsi gli appalti nei settori dell’edilizia, del turismo e dello smaltimento dei rifiuti. Il denaro così ottenuto viene riciclato, con la complicità di gruppi finanziari di dubbia trasparenza, per acquistare ristoranti, bar, discoteche ed altre attività commerciali.
 
Indipendentemente dalle differenti strutture – “a piramide” per le Cosche sottomesse alla Cupola riguardo Cosa Nostra, oppure “a rete” per i Clan di Camorra e Sacra Corona Unita – queste organizzazioni criminali usano l’arma del ricatto per perseguire i propri illeciti fini.
Si è scoperto di recente che Paolo Borsellino si era opposto con fermezza alle trattative che una parte delle Istituzioni aveva avviato con i Corleonesi, onde evitare ulteriori stragi mafiose dopo le bombe e la morte di Falcone. Al suo posto avrei fatto altrettanto, siccome ritengo che non esista una ragione di Stato che permetta e legittimi un accordo tra le Istituzioni e il crimine organizzato, tra chi ci rappresenta e il “Mostro che ci stritola” – volendo utilizzare un’efficace definizione data alla mafia da L. Garlando. A chi parla di patti purtroppo necessari per la salvaguardia dell’incolumità pubblica, io rispondo che lo Stato non può essere ostaggio di nessuno, tantomeno delle mafie se vuole preservare la democrazie e la libertà.
 
Vorrei fare un appello ai parlamentari affinché approvino una legge anti-corruzione che elimini dalla politica ogni traccia di disonestà che è l’anticamera del reato e della connivenza con chi delinque. Noi, nel nostro piccolo, denunceremo il comportamento di chi, anche a scuola, vuole prevaricare e tiranneggiare sui compagni. Nella lotta alla mafia noi cittadini dobbiamo essere protagonisti, così che non si sentano soli ed abbandonati i magistrati, le forze dell’ordine e gli amministratori onesti; essa non durerà in eterno perché, come diceva Giovanni Falcone, “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un’origine, una sua evoluzione, e avrà quindi anche una fine”.
 
Glielo dobbiamo: le sue idee cammineranno sempre con noi.
 
LORENZO CASADIO
 
12 giugno 2012
 
ESAME DI STATO
anno scolastico 2011/12
Lorenzo Casadio – Classe 3A
Prova di italiano – svolgimento n. 2
Scuola secondaria di I grado “M. Valgimigli” – Mezzano (RA)

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